"moriro'fra pochi minuti"ERNEST GAITHER.
“Morirò fra pochi minuti” ERNEST GAITHER
Il, 24 ottobrre 1947 un giovane negro americano condannato a morte, finì sulla sedia elettrica a Chicago. Egli ha lasciato una testimonianza che è stata pubblicata in tutti i giornali del mondo. La pubblichiamo anche noi, traducendola da «L’Appel du Maitre» nella speranza che possa essere utile a qualche anima.
Quando voi leggerete questo scritto, io sarò morto. Non vi rattristate sentendo parlare di un uomo morto, perché nel momento in cui comincio la mia storia, sono ancora vivo. Oggi è il 9 settembre, un martedì, e stasera a mezzanotte sarà eseguita la mia condanna a morte come assassino.
Da quando sono stato rinchiuso in una cella di questo carcere (Cook Country fail), ho avuto tempo di pensare molto. Qualcuno dei miei pensieri — un avvertimento ai criminali — è già stato pubblicato su un giornale di Chicago col titolo «più duro degli induriti». Oggi ho riletto l’articolo accennato, ed ho visto che è realmente una parte della mia storia: il senso della verità che traspare da esso, lo sento, riposa sul fatto che io non tema di parlare della morte.
Ho solo 23 anni, ma sono già pronto ad andarmene; sapete perché? perché sono pronto ad incontrarmi con Dio e ne sono felice. Una settimana fa ho fatto un sogno che porterò con me sulla sedia; mi sembrava di essere in viaggio per il cielo e di vedere Gesù che venivo verso di me; ma mentre io facevo quattro passi, Egli ne faceva solo due; mi domandò perché camminassi così svelto ed io gli risposi che avevo fretta d’arrivare in cielo. Poi lassù fui circondato dagli angeli.
Qualcuno penserà che è strano un tal sogno per uno che è entrato in questo carcere; ma comprenderete meglio quando vi avrò raccontato come una mattina ho incontralo Dio.
Prima di tutto date uno sguardo al mio passato. Sette anni fa ero un tipo molto abile, ed ero a capo di una mia banda nominata dei «più duri degli induriti». Eravamo otto: …ora siamo tutti in prigione, eccetto uno che è stato giustiziato.
…Ero ancora un ragazzetto quando incominciai a commettere le mie prime prodezze. La mia famiglia cercava di mandarmi alla scuola domenicale e alla chiesa; più di una volta mi davano anche dei soldi perché vi accompagnassi la mia giovane sorella, ma non ci andai nemmeno una volta. Mi facevo promettere da mia sorella che non avrebbe detto niente, e durante quel tempo correvo al cinema. Ai miei genitori raccontavo che ero stato in chiesa, ed essi non dubitarono mai di nulla. La delinquenza era in me e le pellicole che vedevo mi aiutavano a concretizzare le mie idee. Vi appresi così alcuni trucchi che mi istruirono sul come fare delle cattive azioni. Un giorno vidi un film intitolato
«Ho rubato un milione» io ero là, smanioso di essere quel giovane che possedeva un milione. In seguito decisi d’apprendere la boxe pensando che all’occasione potesse servirmi di difesa; pensavo anche che così un giorno avrei picchiato sodo.
…A 18 anni ero già in una casa di correzione dell’Illinois per furto a mano armata. Nell’ottobre del 1941 scappai con altri compagni, ma il mese seguente mi ritrovai nel carcere chiamato « Jolet» ero stato catturato per omicidio in un parco di Chicago, ma fui liberato sulla parola nel giugno del 1946.
Sei mesi più tardi ero a capo di una nuova banda, che ebbe vita fino alla sera del 9 febbraio scorso; quella sera attaccammo in tre un certo Mar Baren di 49 anni, che si trovava nel suo bar sito al lato ovest di Chicago. Baren tentò di far uso di una pistola; balzai su di lui per tentare di disarmarlo, ma mi accorsi che egli era deciso a colpire; compresi che quella era la fine sua o la nostra, e allora tirai su di lui a bruciapelo e l’uccisi. Rubammo il denaro che aveva, 300 dollari in tutto, che più tardi diedi agli altri ragazzi. Scappai a New York, poi ad Atlanta, dove fui arrestato dalla polizia. Qualche settimana più tardi comparvi davanti al tribunale di Chicago.
«Riconosciuto colpevole… », così risuonò il verdetto.
«Siete condannato a morte», disse severamente il giudice. Così entrai in questo carcere che è detto «il sentiero della morte».
Non era passato molto tempo ,dalla mia entrata in carcere, quando, il 23 marzo scarso, una donna della mia razza — Mrs. Flora Jones, della Chiesa Battista di Olivet m’invitò ad assistere ad un servizio religioso per i carcerati. In quel momento stavo per cominciare una partita a carte con altri detenuti e le risi in faccia; poi le dissi: « Per che fare? io non penso affatto che ci sia un Dio »; ma mentre io giuocavo, le donna insisteva. Mi sentivo tanto peccatore, che realmente non volevo saper nulla di Dio, nemmeno se Egli esistesse; e così non diedi ascolto alle parole della donna .
Poco dopo, però, alcune delle sue parole attirarono la mia attenzione: «Se voi non credete in Dio — ella gridava — provate solamente questa piccola esperienza; stasera, prima di addormentarvi, chiedeteGli di svegliarvi ad una certa ora; poi chiedeteGli di perdonarvi i vostri peccati». Aveva una tal fede quella donna, che io ne fui colpito.
Non assistetti ai culto quella sera ma decisi di fare l’esperienza. Steso sul mio pagliericcio, mormorai: «Mio Dio, se Tu esisti, svegliami stanotte alle ore 2,45».Durante le prime ore della notte dormii profondamente; poi il mio sonno divenne più leggero; finalmente mi svegliai e mi trovai tutto sudato, quantunque la cella fosse molto fredda. Tutto era calmo; si sentiva solo il rumore regolare del respiro di qualche detenuto e il russare del mio vicino. Sentii un passo di fuori: era un guardiano che faceva il suo turno regolamentare. Quando passò davanti alle sbarre della cella, lo fermai e gli domandai l’ora; egli guardò il suo orologio e disse: «Sono le tre meno un quarto».
«E’ la stessa cosa che le ore. 2,45, vero?». Mentre facevo questa domanda, il mio cuore si mise a battere violentemente nel mio petto. Il guardiano brontolò qualche cosa e s’allontanò; egli non mi vide scivolare ai piedi del letto e cadere in ginocchio. Non ricordo quello che dissi a Dio in quel momento, ma so che Gli chiesi di aver pietà di me, un assassino e peccatore: Egli mi salvò quella notte, io lo so, e mi diede la fede nel Suo Figliuolo Gesù Cristo.
Il giorno precedente avevo promesso un sacco di legnate a un altro detenuto che, appena mi vide, la mattina seguente, cercò di allontanarsi da me e mi disse: «Non ho alcuna voglia di lottare con te perché ti ho conosciuto alla boxe». Non vengo per lottare con te — gli dissi — ma solo per salutarti». Molti si erano riuniti per vederci lottare, ma restarono delusi; Iddio mi aveva liberato dal mio peccato e non avevo più desiderio di battermi. Più tardi corse voce che meditassi qualche tiro per sfuggire alla
sedia elettrico. Il mio caso fu preso in esame dalla Corte Suprema, che confermò la sentenza di morte. Ciò mi impressionò, ma non turbò la mia fede in Dio. Ora sono sicuro che Egli mi è vicino; perciò, come vedete, non ho paura.
Prima di morire voglio lasciare un messaggio agli altri giovani: Cominciate a servire il Signore mentre siete giovani, avanzate su questa strada ed Egli vi guiderà per il retto sentiero. Quando si comincia a cadere, si è vinti ed è difficile rialzarsi.
Sì, io sarò morto quando voi leggerete questo scritto; ma ascoltate il mio consiglio: « …. il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore » (Rom-,..6, 23).
Queste pagine furono scritte da Ernest Gaither il 9 settembre 1947, alla vigilia della sua esecuzione che doveva aver luogo a mezzanotte dello stesso giorno, ma che invece venne rimandala alla mezzanotte del 23 al 24 ottobre dello stesso anno. Il giorno 22 ottobre egli confermò quanto aveva scritto ed aggiunse: « Sono sempre felice e non temo niente, Morirò domani a mezzanotte ».
Fu accompagnato alla sedia elettrica dal missionario del carcere Peter Tanis, che così ne racconta la fine: «Fui autorizzato ad entrare nella cella di Ernest un’ora prima di mezzanotte. L’atmosfera ero pesante, i guardiani stavano intorno parlando fra loro per distrarre il suo pensiero dal viaggio di mezzanotte». Ma la loro conversazione era forzata e ciò che dicevano non aveva alcun senso.
Quando entrai, Ernest mi sorrise e mi salutò; poi mi diede la Bibbia e mi pregò di leggergli qualche cosa. Scelsi il primo capitolo dell’epistola ai Filippesi; Ernest si piegò in avanti ed ascoltò attentamente, mentre io leggevo: «Poiché per me il vivere è Cristo, e il morire guadagno, io sono stretto dai due lati: ho il desiderio di partire e d’esser con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore… ».
Questo era uno dei suoi passi favoriti con quello del Salmo 23. Dal versetto 4 di questo Salmo ricevette un grande conforto; esso dice: « Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei meco… », citò questo versetto quando l’orologio suonò l’ultima ora della sua vita.
Alle 11,30 tenemmo una riunione nella quale contamino dei cantici. Ernest volle che se ne cantasse uno dal titolo: «Quando risuonerà l’appello di Dio, io sarò là», e qualche istante dopo le volte e le pareti dei corridoi risuonarono della voce di un tenore nero che copriva quelle un po’ rauche dei guardiani.
Mentre si cantavano ancora le ultime note del cantico «Qualche parola con Gesù», i guardiani entrarono e cominciarono a tagliare i capelli all’uomo dalla voce di tenore.
Poco prima di mezzanotte Ernest pregò a voce bassa così: «O Signore, quando sono entrato qui dentro, odiavo questi guardiani; ma ora lì amo, O Signore, O Dio, ora amo tutti gli uomini». Poi pregò per quelli a cui aveva fatto del male, per sua madre, chiedendo ai Signore di benedirla, e concluse dicendo: «Non voglio morire con la corrente elettrica, ma voglio solo sedermi sulla sedia ed addormentarmi .
Qualche minuto più tardi gli fu posto sulla testa un panno nero ed egli cominciò a percorrere gli ultimi metri. Ai due lati della sedia stavano due guardiani che tremavano; Ernest li sentì e disse: «Perché tremate così? io non ho paura».
A mezzanotte e tre minuti la prima scarica elettrica attraversò il corpo di Ernest. A mezzanotte e un quarto, cinque dottori ne constatarono la morte, ma io sapevo che il vero Ernest Gaither era ancora vivo.
Lasciando la prigione, pensavo al versetto che egli amava tanto: «Poiché per me il vivere è Cristo e il morire è guadagno».
Tratto da Risveglio Pentecostale del Marzo1949.